Laboratorio urbano - Mente locale

Il Laboratorio urbano - Mente locale è una iniziativa di auto mutuo aiuto che nasce tra i servizi della salute psichica e mentale del ASLTO1 di Torino. Inizia le sue attività il Giugno del 2000 e ci si incontra una volta alla settimana il Martedì mattino dalle 11.00 alle 13.00 circa, a Cascina Roccafranca, via Rubino 45, Mirafiori nord, Torino. Chi vuole sapere di più può scrivere a :laburb@libero.it




mercoledì 8 giugno 2011

Esplorare la frontiera tra normalità e follia



“Gli antropologi distinguono tra confine e frontiera. Il confine indicherebbe un limite, una linea da non superare, mentre la frontiera richiama una fascia di territorio dove le diversità si fanno fronte, si confrontano. Il confine è rigido, la frontiera fluttuante.
Ora, se guardiamo alla storia, all'evoluzione umana utilizzando queste due categorie, potremmo dire che l'evoluzione è stata un lungo e faticoso, mai terminato, accidentato percorso per superare i confini ed aprirsi al mondo della frontiera”
“Il confine è qualcosa di primitivo, di istintivo, di viscerale, di esclusivo (nel senso che esclude). Il "termen" della nostra cultura contadina. Tracciare confini è relativamente facile, perché asseconda l'istinto naturale. E gli strumenti del confine sono la lotta per spostarlo e presidiarlo. La guerra.
La frontiera rimanda piuttosto a qualcosa di razionale, di rielaborato, di pensato, di negoziato a fatica con se stessi e con gli altri. Abitare la frontiera costa fatica perché i suoi strumenti sono il dialogo, il negoziato, la diplomazia. Il confine è rendita. La frontiera è investimento e progetto”.
Kossi Komla-Ebri
Scrittore migrante
Esplorare la frontiera tra normalità e follia
Fino a pochi anni fa tra normalità e follia c’era un confine netto. O di qua o di là. Era un confine fisico e delimitava il luogo deputato alla follia che era il manicomio. O dentro o fuori. Confine fisico oltreché culturale. Oggi dopo la chiusura del manicomio, tra normalità e follia possiamo affermare che c’è almeno la frontiera; una frontiera porosa che permette le persone di avere percorsi andata e ritorno e non solo andata e la chiave buttata. Lo sforzo di aprire una fascia di territorio, culturale, medico-scientifico, di relazioni dove la diversità tra normalità e follia si confrontano, con fatica, dialogo e negoziato. Abitare questa frontiera costa fatica, aprire questa faglia, questo interdetto è il compito di ogni individuo che non lavora alla separazione. In realtà, nella realtà misera dell’identità mimetizzata, la separazione tra gli individui lavora in modo inesorabile, senza soluzione di continuità. Crediamo che il mondo della dissociazione, dello stato modificato di coscienza possa offrire ancora un pensiero, una riflessione sulla differenza. Migliaia di persone ogni giorno, loro malgrado, praticano quest’attività. Con il loro carico di angoscia e sofferenza. Il laboratorio mente locale, fondato da pazienti e operatori dei servizi della salute mentale di zona, promuove la loro ricerca del benessere e ne fa testimonianza. Ogni martedì mattina traiettorie individuali estreme tentano di diventare soggetto collettivo, riportando ognuno le coordinate delle sue posizioni e spostamenti nella frontiera, tra normalità e follia; tentando di costruire una mappa di questa terra di nessuno, di offrire un minimo di strumenti di orientamento, di fare mentelocale sulle trappole e i vicoli ciechi.
Ne raccogliamo le singole voci e proponiamo questa possibile cartografia della frontiera disegnata sui seguenti percorsi che si sovrappongono e si intrecciano:
Abitare: condominio di carne ovvero la casa ti parla?
Sentire, vedere, dire: voci, visioni e deliri
Sognare: dove abitano i sogni? Sull’amore, Il letto, La fuga.
Strumenti: Il piccolo chimico

Abitare la frontiera e fare ricerca :
due tipi urbani estremi, l’eremita e il paranoico

La frontiera tra normalità e follia è presidiata da categorie clinico- diagnostiche. Servono agli specialisti e agli operatori per predisporre dispositivi e strumenti di cura e di controllo con un certo criterio. Noi, come collettivo operatori e pazienti, che non abbiamo dietro di noi un linguaggio forte e per forte intendiamo tre linguaggi, quello clinico, quello giuridico e quello del senso comune, noi proponiamo un sapere e un linguaggio che parte dal esperienza vissuta, e attraversa molti registri linguistici, e inevitabilmente anche quelli forti; avvertiamo la necessità di trasformare i sintomi in simboli e dare senso e significato agli accadimenti dolorosi della vita. Accade cosi che nei nostri incontri di martedì molti temi che vengono discussi nei convegni e nei studi vengono messi sotto analisi a partire dall’esperienza che ognuno porta. Prendiamo per esempio quella del “ritiro sociale” e la sottoponiamo a una decostruzione.
La decostruzione non è una operazione complicatissima. E’ quasi un operazione opposta al riduzionismo praticato dal manuale diagnostico. Li dove uno riduce l’altro amplia o riamplia. Noi ci avvaliamo delle metafore prestate da altri linguaggi, oltre quello clinico, e cerchiamo di ampliare il campo semantico del sintomo. Il primo che guida quest’operazione è il paziente che utilizza un ampio campo metaforico per descrivere la sua situazione, campo fatto dal linguaggio comune o da altri campi linguistici; pensate per esempio al come i pazienti utilizzano le metafore metereologiche per parlare dei loro stati psichici.
Per la categoria diagnostica di “ritiro sociale” possiamo avvalersi per esempio della pratica del eremitismo, millenaria e ampiamente praticata dalle religioni, e coniare un termine intermedio per disegnare il fenomeno del ritiro sociale, quello del “eremita urbano”, vivere in quasi totale isolamento in spazi urbani densamente popolati.
Ritiro sociale in pochi metri quadri. Possiamo scendere più nel particolare, e analizzare la spazialità del eremo, della stanza e esplorare i luoghi, ed ecco il letto; dal mentelocale dedicato al tema esce fuori tutta una metaforica del luogo, perché il letto è un luogo e non un oggetto, che arricchisce la categoria del “ritiro sociale” classica del depresso sdraiato a letto.
Ritiro sociale in pochi metri quadri, eremitismo urbano ed ecco che la casa ti parla. La questione delle voci e le voci del abitare. Convivere ed essere abitato dalle voci. Scatta la paranoia delle prossimità. E dal “eremita urbano” si passa al “paranoico urbano”. Abbiamo dedicato molti martedì ad esplorare la questione del abitare, della casa, delle voci e dei deliri, linguistici e spaziali, di quelli che coinvolgono il vicino e il prossimo, l’altro fantasmatico che ci abita o si aprossima. Sul abitare sono state raccolte 89 microbiografie poetiche, altre 77 sulle voci e visioni, l’insieme disegna una mappa psicogeografica della frontiera urbana, ci presentano una piccola fenomenologia della psiche e degli spazi, della casa e del abitare.
Oggi la frontiera non è un campo sterminato di praterie, una spazialità aperta e non costruita, che richiama il potere esplorativo e fondativo della nuova città, oggi la frontiera si disegna in un campo strerminato di urbano e di orizzonte costruito; una volta la frontiera era oltre la metropoli (la città madre) oggi è dentro la metropoli; anzi oggi nel panorama urbano la frontiera paradossalmente si è spostata dentro agli appartamenti. Sono gli eremiti urbani quelli che esplorano in solitudine la frontiera tra abitato e dis-abitato. La frontiera non solo come andare oltre ma anche ritirarsi da.
Cosa significa abitare per un schizofrenico? E per un melanconico profondo? E per un ossessivo? Portano ai limiti estremi l’abitare e aprono la frontiera interna. Bisogna scrivere il trattato “Le condizioni abitative del paziente psichiatrico” per capire come si evolve la nostra vita nelle città odierne, tra l’estrema solitudine e isolamento del eremita urbano fino alla ipersignificatività dei segni e dei stimoli tipica del paranoismo urbano.
Per esplorarare la frontiera tra normalità e follia dobbiamo passare da una psicopatologia a una psicogeografia della prossimità, costruita attorno alle due figure limite, quella del eremita urbano e quella del paranoico urbano.

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