Laboratorio urbano - Mente locale

Il Laboratorio urbano - Mente locale è una iniziativa di auto mutuo aiuto che nasce tra i servizi della salute psichica e mentale del ASLTO1 di Torino. Inizia le sue attività il Giugno del 2000 e ci si incontra una volta alla settimana il Martedì mattino dalle 11.00 alle 13.00 circa, a Cascina Roccafranca, via Rubino 45, Mirafiori nord, Torino. Chi vuole sapere di più può scrivere a :laburb@libero.it




lunedì 29 dicembre 2014

Ascolto e Dolore, Sacrificio e Dono

MENTE LOCALE
16.12.2014



Dobbiamo lavorare? Ma no!
Nietzsche e l'eterno ritorno
Suggello è più metaforico di sigillo
più fisico
Mente e corpo sono sempre insieme.
Sentire ed essere
distruggere e lacerare
decifrare:
il corpo dell'altro e il nostro.
ASCOLTO
Anche per il puro suono, è sempre una dimensione.

Necessità di un lessico comune:
io mi affido e confido in voi.
Invasione fuori luogo quando c'è inclusione
invasione-inclusione
L'AGGRESSIVITA'
negata.
Il nostro malessere è il nostro: scambiamoci.
Il fardello dell'altro è anche il nostro?
Caricarsi del dolore dell'altro
Il Rondò della forca.
Il dolore è sacro? Certo!
DOLORE
unisce perché è collettivo..
ma quand'è che separa?
Quando è negato o quando non lo accetti come un muro
Berlino..
..soffermiamoci.
AUTOSTIMA
accettare il presente per quello che è.
Restituire il significato del sacrificio.
“nuddu mischiato cu niente”
AMBIVALENZE
avvitandosi ci si svita.
Io e il mondo: come uno specchio.
Fagocitare il muro.. ma chi mangia chi?
Scomparire o fagocitare?

Fa parte del cervello pensare ma mi fa male..
quando esci dalla pancia uno ha bisogno di un avvocato e di uno psicologo

SFIDUCIA
Antonia Pozzi
la più disperata lontananza
facciamo un sacrificio quando accettiamo l'aggressività?
C'è un sacrificio? Ci sacrifichiamo..
Il SENSO DI COLPA
è verso di me, la mia aggressività.. e se ti senti colpevole?
Autoescludersi per non essere
La tana di Kafka

Che posso fare? Tirare giù il muro?
Qualcuno può grattare un po' la superficie per me?
L'attrezzo o lo strumento?
Costruire o distruggere?

Io non posso fare doni
l'aggressività come pentola a pressione.. e ma i coperchi chi li mette?
Deleghiamo all'aggressività? Come ci ritorna?
Come discussione.
SACRIFICIO
trasformare qualcosa al fine di cosa? Essere l'altro?
Tradurre
trasformare
tradire
Senza sacrificio non c'è l'essere umano
il sacrificio sprona
l'agito è una manifestazione il gruppo è agito è manifesto.
DONO
veleno?
Imparare ad accogliere il dono ed il veleno
siamo capaci di accettare il dono?
C'è un agito agitato

tu ti scontri contro il Muro?
L'aggressività è fragilità
la mia rabbia sfociava e mi sentivo bene.
Riconoscere la rabbia forse è quello che mi serve.
Conosciamo la nostra aggressività: liberarsi di qualcosa che non ci si riconosce
Se non mi guardi non mi tradisco
se non esisto sono inutile.



 resoconto steso by Katiuscia

domenica 28 dicembre 2014

Alberi


Alberi 

È una tradizione importata, non è molto mediterranea; se non sbaglio, è di origine germanica. Si presta favorevolmente al kitsch come all’artigianalità lenta e autoprodotta. L’albero di natale è però qualcosa che caratterizza dalla mia infanzia il natale, più del presepe, il più delle volte limitato ad una discreta natività. Saranno le luci e le palle colorate (avrete notato come nella mie rubrica attraverso lo specchio, siano esuberanti questi effetti nelle foto annesse, che sono opera mia, frutto di divertimento fotografico) Ma forse è anche il fascino di quel microcosmo intricato, ed incantato, labirintico, pieno di nascondigli, che creano varchi, tra un ramo, un ninnolo, un riflesso di un lampo azzurro su palla specchiata argentata o dorata… Alt!, concludete a piacere, sto già andando in delirio psichedelico descrittivo.

Ma le palline, i ninnoli, gli addobbi tutti, sono legati al simbolo di una propiziatoria abbondanza, che nelle antiche religioni contadine era un’offerta sacra, così simbolizzata, per un risveglio dall’inverno non duro, che consentiva alla comunità di avere un buon raccolto. E successivamente di donare ancora.

Per questo natale voglio fare due auguri, ed entrambi, interconnessi, prendono spunto da questa fantasia. Il primo augurio che faccio a tutti voi bradipolettori è quello di tornare ad apprezzare la vostra solitudine. È quello di riuscire a non rimanere angosciati dai labirinti della psiche e di non percepire la solitudine come una reclusione o un isolamento. È di riuscire a vedere la vostra anima come un «bell’inganno», nel quale già il tempo è una «bella compagnia», per citare anime salve di De André. Spero che riusciate a vedere le sensazioni profonde non come una complicazione, o peggio una vergogna, un difetto… ma come un microcosmo intricato, ma incantato, pieno di nascondigli che creano varchi, tra un ramo, un ninnolo, un riflesso. Vi auguro di riuscire in ciò a ritrovare un po’ della spigliatezza genuina del bambino in ciascuno di noi, che di fronte a tutto ciò è divertito, è giocondo, è fantasticante. E sa bene che quel microcosmo è il riflesso dell’intero cosmo.

L’altro augurio che faccio è di fare dono di questi giochi, di questa profondità, di «questa lieta gaiezza» (che si potrebbe tradurre, etimologicamente, «questa fertile terra»). Ma di fare dei doni non materiali, non i «pacchi» (riciclati spesso per mancanza d’idee). L’augurio che faccio è che voi tutti bradipolettori riusciate a farvi dei doni stando tutti appesi all’albero. Ovvero: riuscendo a sentire nel cuore lo stare insieme agli altri.

Sembrano due auguri contrastanti? Niente di più sbagliato. Il ritrovare una pace gioconda dentro di sé è il primo passo per ritrovare un pace gioconda e fertile nello stare insieme. Troppo spesso questo mondo accelerato, dogmatico, abulico, irrigidito sugli stessi schemi, impedisce a tutto ciò di accadere. Ci costringe a seguire degli standard, a formare i nostri desideri sulla normalizzazione (o meglio sull’omologazione) del desiderio, dell’immaginario, degradando fantasie ed empatie profonde. Un sistema che ci costringe a seguire delle condotte e che ci osserva con pre-giudizio se usciamo fuori dai ristretti margini che delineano queste condotte. Un sistema che ci esclude la possibilità di cambiare senza passare dal consumo, dal denaro, dalla produttività e dalla competizione.

Ma non è solo teoria, non sono solo parole le mie. Il mio duplice augurio è anche un invito. E ha un nome: laboratorio urbano di Mente Locale. Questo laboratorio è un gruppo di persone che scommette sulla forza di accoglienza del gruppo per superare le difficoltà e le asperità della vita dei singoli. È un gruppo, come proprio questa settimana mi è capitato di definirlo, « ad alta temperatura emotiva». È una scommessa che non sempre vinciamo, ma continuiamo a giocarcela. È un modo per ritornare ad apprezzare la labirintica profondità della psiche, cercando di non rimanere prigionieri dell’angoscia e degli schemi del sistema vincolante. È un modo per riuscire a fare concretamente entrambe le cose che vi auguro di poter fare, di poter riscoprire. Se siete interessati, se volete scommettere un po’ del vostro tempo, della vostra identità, potete consultare il sito di Mente Locale dove troverete anche l’indirizzo e-mail a cui rivolgervi per sapere dove, come e quando il laboratorio urbano si ritrova e cosa propone ai suoi partecipanti. Un felice natale a tutti voi!

http://bradipodiario.blog.tiscali.it/2014/12/25/12160/

Enea Solinas

lunedì 8 dicembre 2014

Il sacrificio




Laboratorio di radiofonia sociale
promosso da 
Circolo poetico urbano Orfeo e Radio banda larga
Invito a partecipazione libera
un mentelocale itinerante ed espanso in etere
indagine psicopoetica in radiofonia della frontiera tra normalità e follia
primo modulo, fatto di quattro assemblee tematiche, aperte a tutti,
registrate, montate e diffuse nelle frequenze radio e web; 
4 temi, 4 luoghi, 4 gruppi, 

Il terzo incontro sarà
Torino mad pride,  tema Orgoglio e pregiudizio
Giovedi 18 dicembre, h 17.00-20.00
nei Bagni di via luserna di rorà 8

Il quarto incontro
promosso da Il Tiglio, tema: Persone, maschere e identità lavorativa
lunedi, 22 dicembre, h 10.30 -13.00
presso Officina corso Casale 413

Editiamo un po di materiale prodotto in occasione del secondo incontro,
 in san pietro in vincoli promosso da Laburb Mentelocale, tema Il sacrificio


Cos’è il sacrificio
Il sacrifico è rinunciare a riconoscere me stesso, 
rinunciare a riconoscere la mia identità attraverso il talento 
che mi ha donato o non donato la vita.
Questo sacrificio oggi mi accompagna verso la vittoria, 
che non è sopraffare, superare un altro avversario, 
ma compattarsi in una nuova identità, 
molto più vicina al mio essere,
che al sistema territoriale umanoide.

Il sacrificio è riuscire a dire "non ho vinto", 
perché il talento che mi ha garantito il successo nel sistema territoriale, 
non l'ho guadagnato io, l'ho ricevuto dalla vita,
 che un giorno verrà a riprenderselo, ed io cosa le dirò? 
Che i miei cento anni di esistenza non valgono 1 secondo di vita?
Il sacrificio è riuscire a dire "non ho perso",
perché gli uomini sono tutti uguali e non si distinguono per il loro talento, 
o per ciò che riescono a fare o non fare nel sistema territoriale.

Il sacrificio è sottomettersi alla vita, 
appartenere alla vita, 
se potessi appartenere a me stesso,
 potrei decidere di non morire mai.
Il sacrificio è rinunciare a vincere ad ogni costo, 
perché anche se non posso decidere di non morire,
posso sempre decidere quando morire.

Il sacrificio è lasciare andare la mia sofferenza.
Il sacrificio è osservare che il diluvio universale è stato una catastrofe, 
per il sistema territoriale umanoide e le sue identità psicotiche, 
ma non per la vita, ed io appartengo alla vita,
 le mie glorie le mie vittorie sono nella vita, 
non nel sistema territoriale umanoide,
 che presuppone capacità, talento e catastrofi.

Ecco come al solito!
Ma perché quando mi impegno a trovare delle risposte,
trovo sempre con un sacco di domande?
Al prossimo gruppo.
Francesco D.



Inviato: 03/12/2014 20:40
Oggetto: l'universo

L'Universo è in equilibrio
Ciononostante esistiamo
Dio è buono
Ciononostante esistiamo
Le catastrofi ci ricordano chi siamo
S.S.



  sul sacrifico…
sintesi liberamente rielaborata,
da
L’ardore, di Roberto Calasso, Adelphi 2010

Facciamo un salto indietro: di circa 4000 anni…
Esseri remoti… a noi moderni, e pure alle civiltà loro coeve,
 i Veda (Arya),
adoratori di una misteriosa pianta allucinogena,
che descrivono come già estinta nella loro epoca
– il soma –
elaborarono una metafisica del sacrificio,
che riverbera tutt’ora, nel profondo.

Non lasciarono templi, non monumenti, non città, solo testi:
i 4 Veda appunto, i testi del “Sapere”,
cui l’India fece seguire i Brahmana,
con le upanisad, e infine il Mahabarata,
forse il più grande poema epico del Mondo, considerato “il quinto Veda”.

Il sacrificio è mosso da un primo evento scardinante: il desiderio.

Il sacrificio implica un’offerta.
Affinché sussista un sacrificio, occorrono tre condizioni:
un’uccisione colla quale si offre,
una controparte invisibile alla quale si offre,
 un rito attraverso il quale si offre.
Non si ha sacrificio senza queste tre, insieme.

Il sacrificio è commettere una colpa,
unitamente al tentativo di espiarla.
Di fronte al nulla da offrire,
 l’uomo – essere della non-verità – può offrire la verità nella fiducia
 – intesa soprattutto come fiducia nel rito – verità che va conquistata –
ovvero: l’assunto centrale di tutto il pensiero vedico:
che la Mente e il mondo palpabile,
che tra invisibile ed visibile ci sia un interscambio continuo.
Perché il rito sia efficace non potranno che essere compresenti,
in un alternarsi incessante,
i livelli di silenzio (o mormorio continuo) e parola chiara e distinta,
 Mente e Parola.
«indefinita è la mente, indefinito è ciò che accade nel silenzio».

«Solo in quanto gli uomini possono offrire ebbrezza agli déi
possono pretendere di attirarli sulla terra».



L’elemento residuale del rito
 – il sito su cui avviene, qualsiasi residuo –
è il sovrappiù che richiederà ulteriore sacrificio.
Il mondo stesso è il sito residuale del sacrificio
 che gli déi compirono per poter ascendere al cielo.
Nel mondo moderno vige la convinzione
 – evidenziata da un certo abuso del termine sacrificio,
 riferito agli obblighi sociali, famigliari, collettivi, ideali –
che denota la Società come il tutto.
Nel profondo del pensiero vedico
 – quasi fosse un pensiero quantistico rispetto alla fisica cartesiana della modernità –
vige la convinzione che qualcosa di più grande ed invisibile sovraintenda alla società
– qualcosa di cui la natura è una parte, ma non tutto –
qualcosa di invisibile e divino
– e mediante l’interscambio rituale con essa il tutto sussiste compreso il pensiero.
Senza cogliere questo aspetto i remoti riti arcaici ma pure tutti i gesti e i riti o cerimonie sociali,
che da ciò si vogliono sottrarre, apparirebbero come delirio.
La visione moderna non può contemplare questo aspetto,
ma il profondo pensiero può invece contemplare la visione della società.
Sacrificio è un accogliere la morte in ogni atto
– per superare il danno della «morte ripetuta»
che lacera la fibra umana.



Il sacrificio richiede tempo.
Il sacrificio è il tempo.
Ogni forma, ogni gesto umano su cui
ogni cultura in ogni tempo si è interrogata
è intessuto di sacrificio
(inghiottire,
copulare,
recidere,
uccidere,
evacuare,
parlare,
bruciare,
versare,
pensare,
sognare,
guardare,
piangere,
ridere e
prima di tutto respirare,
ancorché attaccati ad una macchina artificiale,
sono il sacrificio).
Arrivare a percepire ciò è un primo passo
per allargare lo sguardo più in là del mondo,
della società,
dell’Io.
Cominciare a percepire ciò è un primo atto di fiducia,
è un primo atto di pensiero e interscambio,
è un primo gesto di cura.
È un primo ritorno al «sacrum facere»
- al fare il sacro –
significato etimologico di Sacrificio.

di Enea Solinas







   
   










venerdì 28 novembre 2014

Orfeo mini festival

Un team internazionale di ricercatori ha annunciato due settimane fa, che analizzando una grande quantità di dati provenienti dalle osservazioni di telescopi terrestri e spaziali ha localizzato una sorgente di luce misteriosa a una distanza di 90 milioni Anni luce. Questa luce, secondo i ricercatori, appartiene ad un oggetto cosmico la cui identità non è ancora definibile. Questo perché l’ oggetto cosmico in questione presenta un comportamento bizzarro. Al'oggetto è stato dato il nome in codice SDSS1133 e i  ricercatori ritengono che sia probabilmente un buco nero che è stato bandito dalla galassia in cui si trovava quando  questa è stata fusa con un'altra galassia. Se veramente è un buco nero in esilio verrà aggiunto alla lista degli oggetti cosmici esiliati che cresce di giorno in giorno.

Oggetti cosmici esiliati in corrispondenza degli oggetti psichici esiliati nell’oscurità dell’anima, ecco Orfeo che con l’arte poetica trasforma l’esilio in emersione ed epifania , e tramite l’arte della parola, il semplice raccontare, porta alla luce e alla condivisione i nostri oggetti psichici esiliati.

Noi puntiamo per comprendere la totalità e non accecarsi dalla separazione e frammentazione, alla corrispondenza tra universi, cosmici, urbani e psichici. In queste corrispondenze si aprono le strade dell’infinito che molti poeti nascosti camminano. Molti di noi partono già dalla conflagrazione psico universale, dove l’io-sole si è spento e il sistema gravitazionale è collassato; oggetti psichici esiliati o senza traiettoria vagano nello spazio siderale oscuro in seguito dello spegnersi del io-sole; seguendo forze ascensionali o centrifughe determinati dall’ansia e dall’angoscia cercano un punto per emergere o a incastrarsi in una forma intellegibile con il resto del caos; questo sforzo lo supportano due metodi; la clinica e la lirica;  per questo noi pratichiamo l’arte di vivere, sintesi improbabile dei due sguardi.

Il collasso gravitazionale dell’io viene chiamato anche, malattia mentale , psicosi, paranoia, depressione maggiore, schizofrenia, follia, pazzia, svalvolatura, sei fuori, pazzo da legare e molti ancora nomi; nomi derivanti dal linguaggio specialistico della clinica psichiatrica o dalle espressioni del linguaggio comune e sono tutti nomi che cercano di controllare l’angoscia e la paura del pericolo che deriva dallo spegnersi del sole-io.

Dai Beati costruttori di pace agli angosciati ricostruttori dell’io; ma molti di costoro che vivono sulla loro pelle il terremoto e la conflagrazione dell’proprio io non si accontentano dei nomi e delle parole ereditate dai linguaggi forti della clinica, del diritto e del linguaggio comune  e cercano le parole proprie per nominare le esperienze che vivono,e alla Clinica, al Diritto o al Linguaggio comune  preferiscono la lirica, dalla clinica dell’io alla lirica dell’io ed ecco Orfeo: poeta capostipite, iniziatore dell’arte della parola e della musica, degli stati estatici, ekstasi e trance e stati alterati di coscienza, incantatore delle bestie feroci soprattutto bestie intrapsichiche, viaggiatore agli inferi alla ricerca dell’amore, discesa al centro del buco nero della morte alla ricerca di Euridice, guidato dal eros, riemerso per essere dilaniato, sparagmos del corpo, Corpo dilaniato e smembrato e pratica panerotica. Chi più di Orfeo, nome collettivo millenario, nome assunto da schiere di poeti nascosti, sintesi impossibile di follia e ragione, dionisiaco e apollineo, poteva essere faro e guida all’oscurità permanente dei nostri giorni.

Orfeo abita il mistero della vita e morte. Ecco perché ci rappresenta.

La sua discesa negli inferi, la katabasi, alla ricerca dell’eros è il viaggio archetipico che tocca a tutti noi ma è anche la metafora più azzeccata per la follia. Il viaggio nell’oscurità, nell’indicibile e nell’irrappresentabile che disegna la morte. Ed ecco l’arte di vivere.

L’arte di vivere, la frontiera tra normalità e follia, con Orfeo e la psichiatria, praticando la biotechnia.

L’arte di vivere, a differenza delle arti specialistiche non ha codifica, è un arte povera, minore e diffusa e le sue materie prime sono le emozioni, le parole e le relazioni, l’arte di vivere è un arte relazionale.

L’arte di vivere è un affermazione contro la separazione dell’arte dalla vita. O meglio delle arti dalla vita. Sono le arti, in quanto arrivate allo stadio avanzato dello “specialismo” che si sono allontanate dalla vita. Essi non sono altro che delle “tecniche dell’apparire”. La lingua greca nella sua evoluzione testimonia questa separazione usando per “l’artista” il termine callitechnes e per “l’artigiano” il termine biotechnes. Il primo è l’artista della forma bella, (kallos), il secondo è l’artista della vita , del bios. E la materia prima della vita sono le relazioni. Per questo noi parliamo di arte di vivere come arte relazionale.

Arte di vivere; Biotechnia; non bisogna regalare la parola bios agli organicisti scientisti, ai biotecnologi, a chi tramite il logos e la tecnica ha ridotto il bios a semplice zoè, dissinteressandosi del senso della vita. C’è già la zoologia. L’oggettivazione del bios umano che ha prodotto il pensiero scientifico legato alla tecnica, oggi mostra la sua enorme potenza, tramite la biotecnologia guidata dal denaro e dal profitto. A livello accademico, per correre ai ripari hanno dovuto istituire una nuova disciplina,che affianca la biotecnologia nella sua ontologia tecnicista, la bioetica; come se quattro accademici asserviti potessero guidare per il bene comune le forze oscure della tele-bio-nano-tecno-logia guidate dal profitto e denaro e potere. Nella salute mentale e nella psichiatria pratica, prevale la farmacopoetica, guidata dalla ricerca farmaceutica internazionale; tutto punta al controllo o alla restaurazione delle funzioni su un modello produttivo di profitto; economico, morale, sociale. Siamo a livello industriale di produzione.

Arte di vivere;biotechnia; non ha un modo di produzione  industriale ma artigianale;biotechnis:artigiano, ogni individuo la svilluppa a partire dalla sua declinazione; è un arte minore e il più delle volte invisibile. Per capire di che cosa si tratta accostiamo al bios un'altra parola che è grafè ed ecco la biografia che è apparsa prima della tecno-biologia. Scrivere la propria esistenza e praticare  la scrittura dell’esistenza è uno spazio di libertà conquistato da milioni di subalterni nella storia; scrivere è un arte minore e diffusa, raccontare è ancora più universale e autodeterminato, la possono praticare anche gli analfabeti. Contro le narrazioni ufficiali e istituzionali produrre contro-narrazioni.

Arte di vivere; biotechnia: insieme di arti minori e povere, non codificate e a trasmissione comunitaria e non specialistica; arte della scrittura, del raccontare, l’arte della convivialità e dell’accoglienza, l’arte di viaggiare e mettersi in strada, mangiare, camminare, dormire. Arte di eliminazione del dolore, arte antalgica comunitaria, arte di contrasto delle dinamiche del potere, non essere forte con i deboli e debole con i forti; l’arte della differenza contro le forze di omologazione, questo e molto altro l’arte di vivere.

Arte di vivere; biotechnia: arte delle relazioni e non dei rapporti sociali codificati e ereditati. Praticare relazioni tra pari, uscire dalla separazione, frammentazione, solitudine e isolamento, resistere alle forze dell’omologazione e del controllo, trasformare la crisi individuale in critica del legame sociale, passare dal io al noi.

Per questo all’arte di vivere servono tutte le arti separate: il racconto, la poesia, la musica, la pittura, il teatro, il cinema, l’arte del cibo, tutte le arti separate al servizio dell’arte di vivere la vita come arte relazionale.

Ecco quindi Orfeo, ispiratore dell’arte di vivere e della liberazione della e con la poesia.

Hai una poesia nel cassetto o nella tua testa?
Portala al terzo piano  corso San Maurizio 24,
il giovedi 4 dicembre alle 18.00 e
liberala!!!



mercoledì 26 novembre 2014

Ozio


Laboratorio di radiofonia sociale
promosso da 
Circolo poetico urbano Orfeo e Radio banda larga
Invito a partecipazione libera
un mentelocale itinerante ed espanso in etere
indagine psicopoetica in radiofonia della frontiera tra normalità e follia
primo modulo, fatto di quattro assemblee tematiche, aperte a tutti,
registrate, montate e diffuse nelle frequenze radio e web; 
4 temi, 4 luoghi, 4 gruppi, 
Il secondo incontro sarà
Laburb Mentelocale,  tema Il sacrificio,
Venerdi 5 Dicembre, in via S. Pietro in vincoli 28, dalle 17.00 alle 21.00

Editiamo un po di materiale prodotto in occasione del primo incontro,
 in via virle promosso da Segnali, il tema L'ozio


FRENESIA (m’ozio)

Penso, quindi ho da fare e non rompete,
non posso andare in banca a fare la fila per un bancomat
che sìììììì, mi serve, ma veramente non tanto
se poi voglio sognare ancora meno, però posso sognare camminando…
ma pure steso è uguale, anzi, esce meglio.
No è meglio se cammino, però
non posso portarmi appresso il cuscino o andare steso
mezzo nudo poi
e ancora devo farmi la doccia,
quindi prendere le mutande, i calzini, la maglietta, cercare quella nera
in mezzo al casino, un casino che non vi voglio dire,
è lo stesso che c'ho in testa, sempre quello, da un pezzo. Devo studiare.
Che mi piace pure, capire, cercare certe cose in certi libri in certi appunti che non vi dico,
sennò v'annoiereste, ma forse mi sto annoiando io ora.
Beh,ora no. Ma nel caso.
Vorrei avere tutti i libri che mi servono e gli altri che m'incuriosiscono nella mia stanza attorno al mio letto;
ah, stanno là. Solo qualcuno. Non tutti. Che casino, che palle.
Devo pure cercare che mi serve, in mezzo al casino, che palle,
però cercare è bello. è la vita, proprio, credo.
Che palle, la vita, ah non si può dire, brutto.
Pensarlo? Eh, può capitare.
Che palle la morte. Par condicio e penso positivo, visto?
Basta, ci vorrebbe una sigaretta, però sto smettendo di fumare,
da tre anni:
mi sa che posso smettere quando non voglio.
Però io voglio sempre, e allora non è colpa mia, no?
Detto fra noi, i polmoni contestano quest'affermazione e mi danno del fancazzista inquinatore bastardo.
Me l'ha detto il cervello. Quello stronzo bugiardo pazzo fancazzista che mi droga di sogni
me l'hanno detto i muscoli, che si sentono poco valorizzati. 
Quelli sono peggio ancora, quando s'incazzano s' accrampano all'osso
e mi devo alzare, o piegare, fare tensione lì… muovermi
Cacacazzi. Ma hanno le loro ragioni:
me lo dice il sangue, che di là dai muscoli passano poco se non si muovono ed è tutto stretto: 
è colpa del sistema nervoso autonomo.
Che però è d'accordo col cervello, ma vabeh, 
ne è dipendente e informatore, lo spione, 
che se la prende coi polmoni che se la prendono con me. Simpatico eh?
Volevo chiedere al cuore, ma c'ha da fà, deve battere, 
e non dà conto a nessuno anche se sotto sotto lo so,
è d'accordo coi polmoni, però col cervello no.
È una vita che litigano. Tipo trent'anni, 
e poi danno la colpa a me.
Che rottura, ‘ste cose stancano. 

Torino, computer-domicilio, 19.nov.'14, 8.55
(Riedit :Torino, computer-domicilio, 25.nov.'14, 6.40)
di Jacopo Vespoli 


'quarantaduecinqueforsebarrato'

"Che ascolti?
Io i Bluvertigo
Fai attenzione ai controllori anche tu?”
Esco dal Quarantadue ma ti parlo lo stesso nella mente 
Per gioco, così mi perdono l'egoismo
sul  Cinque o cinque barrato, ma forse è perchè sono timido,
l'ho preso correndo e non ho capito bene,
tanto forse pure tu 
tanto è uguale per dove devo scendere
tanto chissà dove devi scendere tu,
tanto non ci conosciamo a parte un mezzo sguardo, due, tre?
Nel senso, io non mi conosco a parte un mezzo sguardo o due tre
e temo così anche tu
è la cosa più probabile
Però ti direi lo stesso, ad esempio
delle foglie morte, alla fermata, a terra
che mi sono sempre piaciute;
specialmente quelle più rosse.
"Tu che ascoltavi? Io i Bluvertigo"
Solo uno sguardo, due mezzi, pure tre
sfuggiti,sguardi  impropri.
Chissà, dove, o quando ,ci sarebbe stata parola o sorriso,
almeno sorriso.
Qualcuno avrebbe dovuto cominciare. Chissà che ascolti, sai,
a me piacciono le alpi imbiancate che si vedono in fondo ai corsi
cerco di capire quali monti sono, ne conosco pochi
mi è piaciuto tanto lo scorcio del curvone della ferrovia dietro corso Dante
che spacca e ampia la vista su tre guglie e cupole, credo verso il centro,
chissà quali sono, chissà cos’ascolti ora.
M'hanno sorpreso, belle, nuove, sempre state lì e però una scoperta, 
un caso,
per timidezza,
per distogliere lo sguardo da te,
che chissà cosa ascolti, guardando oltre il finestrino, 
poi quando fa di nuovo bello così le fotografo, con ferrovia e trincerone.
Spero le noterai anche tu,
Per un attimo, sorprendendoti.
Mentre ascolti qualcosa 
negli auricolari
trovando sguardo e sorriso per qualcuno,
col Rocciamelone poi il Monviso mentre il Cinque forse barrato gira su corso orbassano 
riconosco quasi solo quelli,
a parte forse l’Orsiera che non  ho visto e il monte Rosa che non si vedeva 
spero di parlare e sorridere anch'io 
insieme,
a piacerci le foglie morte a tappeto con quelle più rosse
i binari sotto al trincerone, le tre guglie o cupole,
i Bluvertigo negli auricolari, e tu altro, sicuro,
e quello che ascolta qualcuno che non sorride e sfugge sguardi,
come te, come me, chissà perchè.


Torino, da corso Dante a Corso orbassano, soleggiato, foglie morte, 18 novembre 2014, ore 10.40-11.00
(Edit con leggibilità: Computer-domicilio, 19 novembre 2014 ore 8.00)
(Edit con riassestamenti: Computer-domicilio 25  novembre 2014 ore 6.25)

 di Jacopo Vespoli



È uno dei possibili manifesti dell’ozio libero  
la rivendicazione della cicala contro la formica turbo-capitalista  
un classico di Fosco Maraini, nella sua lingua reinventata  
il foscomarainese?  
che però segue delle precise nozioni semantiche e linguistiche
dicesi, credo 
l’invenzione di una lingua “compiuta” 
glossopoiesi.  

E GNACCHE ALLA FORMICA

Io t’amo o pia cicala e un trillargento
ci spàffera nel cuor la tua canzona.
Canta cicala frìnfera nel vento:
E gnacche alla formica ammucchiarona!

Che vuole la formica con quell’umbe
da mòghera burbiosa? È vero, arzìa
per tutto il giorno, e tràmiga e cucumbe
col capo chino in mogna micrargìa.

Verrà l’inverno sì, verrà il mordese
verranno tante gosce aggramerine,
ma intanto il sole schìcchera gigliese
e sgnèllida tra cròndale velvine.

Canta cicala, càntera in manfrore,
il mezzogiorno zàmpiga e leona.
Canta cicala in zìlleri d’amore:
E gnacche alla formica ammucchiarona!


Fosco Maraini, da “la gnòsi delle fanfole” 



L'ozio

Dentro l'ozio c'è l'io che riposa
il grande tirano e  ciberneta è in stand by
l'ozio ci fa riposare dall'io che riposa
l'ozio è legato col disinteresse 
presuppone la distanza e la sua modulazione 
il contrario del ozio è il negozio
anche dentro  negozio c'è l'io
ma non riposa affatto
si da un gran daffare
l'io lavora dentro ognuno di noi
l'io sta più al negozio che all' ozio

io dio
ozio negozio
ecco l'ho detta la filastrocca
sembra un abracadabra
l'ozio porta l'uomo a dio
l'ozio vuole l'uomo sazio
perché se hai fame
cerchi e ti dai da fare
non hai tempo liberato
devi pagare il dazio
alla sopravvivenza quotidiana 
l'ozio per i cristiani fa rima con il vizio
prega e lavora è il moto
per ogni novizio,
ma forse non sanno più
che pregare è già oziare
l'ozio porta l'uomo a dio
in paradiso si ozia
è dai tempi della cacciata
che ci è proibito oziare
cioè pregare e
siamo condannati a lavorare
Hanno vinto i protestanti
che identificano dio con il capitale
e l'ozio col vizio e il diavolo e i sette peccati capitali
l'ozio è un arte
l'arte di perdere tempo
per questo si incazzano gli ergointegralisti
per loro il tempo è denaro.
oziare è perdere tempo per sentire il proprio corpo
quando lavora è solo uno strumento,
oziare è perdere tempo per sentire la totalità,
l'ozio appartiene al regno dell’ inutile come l'arte
l'ozio è sempre creativo
ma l'ozio vuole l'uomo sazio
solo con la pancia piena si può oziare.

L'ozio è lontano parente del sonno e del eros
tutti tre li lega il sogno
dormire, oziare, amare, sognare
ecco l'altra filastrocca magica
dormire, oziare, amare, sognare

l'ozio è lo zio del pensiero metafisico
l'ozio è la madre del sacerdozio
l'ozio è un occasione che si da l'uomo
per sentire il sacro e la totalità

ozio per ozio
dante per dante
e sei finito nel quinto cerchio del inferno
tra iracondi e accidiosi
l'ozio è il padre di ogni vizio.

Cito gli ergo integralisti:
 L'accidia o pigrizia si connette con la sensualità, 
perché sorge in sostanza dall'amor del piacere 
in quanto ci porta a fuggire lo Sforzo o l'incomodo. 
Vi è infatti in noi tutti una tendenza al minimo sforzo 
che intorpidisce o diminuisce la nostra operosità

Vi sono vari gradi nell'accidia. 
L'indolente non pone mano al lavoro che con lentezza, 
fiacchezza e indifferenza; 
se fa qualche cosa, la fa male.
 Il fannullone non rifiuta assolutamente il lavoro, 
ma indugia, va a zonzo e 
ritarda indefinitamente l'affare che aveva accettato.
 Il vero accidioso o pigro o infingardo 
non vuol far nulla di faticoso e 
mostra spiccata avversione per il lavoro.

Dico ai miei figli adolescenti
dovete godervela, siete nell’età dell’ozio
magari babbo dicono
ma andiamo a scuola, tutti i giorni,
che palle pure di sabato che anche tu riposi
appunto dico io
scuola vuol dire ozio
e una volta a scuola andavano solo i ricchi
i padroni e gli aristocratici
scolè in greco vuol dire tempo libero, tempo a disposizione
per dedicarsi al corpo, all’arte del teatro e alla politica
in poche parole all'arte di vivere,
al apprendimento e alla conoscenza,
privilegio di pochi sul lavoro di molti
scolè in latino otium
tempo libero
lentezza e indugio
riposo e tregua
mi dice il mio amico 
lidell scott
da questa scolè deriva la scolastica
ozio e speculazione
l'ozio porta l'uomo a dio.

ozio e negozio
meno male che oggi 
possono oziare tutti
e non solo aristocratici e privilegiati
uno si stufa a stare sempre 
al negozio del proprio io,
compra, vendi,campa e crepi,
L'ozio ti fa capire 
che oltre la sopravvivenza
c'è la vita,
l'ozio non è il tempo libero dello spettacolo
ma tempo liberato
non puoi oziare guardando la televisione,
lavori consumando immagini.

di Mrlaburb

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sabato 15 novembre 2014

Ricerca psicopoetica in radiofonia



Laboratorio di radiofonia sociale

 promosso da

Circolo poetico urbano  Orfeo e Radio banda larga

Invito a partecipazione libera
un mentelocale itinerante ed espanso in etere
indagine psicopoetica in radiofonia della frontiera tra normalità e follia
primo modulo, fatto di quattro assemblee tematiche, aperte a tutti,
 registrate,  montate e diffuse nelle frequenze radio e web; 
4 temi, 4 luoghi, 4 gruppi, 

Segnali,  tema L'ozio
Mercoledi 19 Novembre, in via Virle 21, dalle ore 17.00 fino le 21.00

Laburb Mentelocale,  tema Il sacrificio,
Venerdi 5 Dicembre, in via S. Pietro in vincoli 28, dalle 17.00 alle 21.00

Torino Mad Pride, tema Orgoglio e pregiudizio,  
Assemblea dell'ascolto  

Il Tiglio, tema Il palcoscenico nella vita ,
 cso Casale 413 


Il Circolo poetico urbano Orfeo è costituito da:
Laboratorio urbano mente locale,
Associazione Il Tiglio onlus
Associazione Insieme
SegnAli-Associazione Arcobaleno
Torino Mad Pride
SUR Società umane resistenti
Centro diurno via Gorizia 114, ASLTO1
Hôpital de jour psychiatrique, Grenoblois, Francia
Sostegno territoriale di via luserna di rorà 8, coop. Il Margine
Laboratorio Poeti del Porto