Laboratorio urbano - Mente locale

Il Laboratorio urbano - Mente locale è una iniziativa di auto mutuo aiuto che nasce tra i servizi della salute psichica e mentale del ASLTO1 di Torino. Inizia le sue attività il Giugno del 2000 e ci si incontra una volta alla settimana il Martedì mattino dalle 11.00 alle 13.00 circa, a Cascina Roccafranca, via Rubino 45, Mirafiori nord, Torino. Chi vuole sapere di più può scrivere a :laburb@libero.it




lunedì 29 dicembre 2014

Ascolto e Dolore, Sacrificio e Dono

MENTE LOCALE
16.12.2014



Dobbiamo lavorare? Ma no!
Nietzsche e l'eterno ritorno
Suggello è più metaforico di sigillo
più fisico
Mente e corpo sono sempre insieme.
Sentire ed essere
distruggere e lacerare
decifrare:
il corpo dell'altro e il nostro.
ASCOLTO
Anche per il puro suono, è sempre una dimensione.

Necessità di un lessico comune:
io mi affido e confido in voi.
Invasione fuori luogo quando c'è inclusione
invasione-inclusione
L'AGGRESSIVITA'
negata.
Il nostro malessere è il nostro: scambiamoci.
Il fardello dell'altro è anche il nostro?
Caricarsi del dolore dell'altro
Il Rondò della forca.
Il dolore è sacro? Certo!
DOLORE
unisce perché è collettivo..
ma quand'è che separa?
Quando è negato o quando non lo accetti come un muro
Berlino..
..soffermiamoci.
AUTOSTIMA
accettare il presente per quello che è.
Restituire il significato del sacrificio.
“nuddu mischiato cu niente”
AMBIVALENZE
avvitandosi ci si svita.
Io e il mondo: come uno specchio.
Fagocitare il muro.. ma chi mangia chi?
Scomparire o fagocitare?

Fa parte del cervello pensare ma mi fa male..
quando esci dalla pancia uno ha bisogno di un avvocato e di uno psicologo

SFIDUCIA
Antonia Pozzi
la più disperata lontananza
facciamo un sacrificio quando accettiamo l'aggressività?
C'è un sacrificio? Ci sacrifichiamo..
Il SENSO DI COLPA
è verso di me, la mia aggressività.. e se ti senti colpevole?
Autoescludersi per non essere
La tana di Kafka

Che posso fare? Tirare giù il muro?
Qualcuno può grattare un po' la superficie per me?
L'attrezzo o lo strumento?
Costruire o distruggere?

Io non posso fare doni
l'aggressività come pentola a pressione.. e ma i coperchi chi li mette?
Deleghiamo all'aggressività? Come ci ritorna?
Come discussione.
SACRIFICIO
trasformare qualcosa al fine di cosa? Essere l'altro?
Tradurre
trasformare
tradire
Senza sacrificio non c'è l'essere umano
il sacrificio sprona
l'agito è una manifestazione il gruppo è agito è manifesto.
DONO
veleno?
Imparare ad accogliere il dono ed il veleno
siamo capaci di accettare il dono?
C'è un agito agitato

tu ti scontri contro il Muro?
L'aggressività è fragilità
la mia rabbia sfociava e mi sentivo bene.
Riconoscere la rabbia forse è quello che mi serve.
Conosciamo la nostra aggressività: liberarsi di qualcosa che non ci si riconosce
Se non mi guardi non mi tradisco
se non esisto sono inutile.



 resoconto steso by Katiuscia

domenica 28 dicembre 2014

Alberi


Alberi 

È una tradizione importata, non è molto mediterranea; se non sbaglio, è di origine germanica. Si presta favorevolmente al kitsch come all’artigianalità lenta e autoprodotta. L’albero di natale è però qualcosa che caratterizza dalla mia infanzia il natale, più del presepe, il più delle volte limitato ad una discreta natività. Saranno le luci e le palle colorate (avrete notato come nella mie rubrica attraverso lo specchio, siano esuberanti questi effetti nelle foto annesse, che sono opera mia, frutto di divertimento fotografico) Ma forse è anche il fascino di quel microcosmo intricato, ed incantato, labirintico, pieno di nascondigli, che creano varchi, tra un ramo, un ninnolo, un riflesso di un lampo azzurro su palla specchiata argentata o dorata… Alt!, concludete a piacere, sto già andando in delirio psichedelico descrittivo.

Ma le palline, i ninnoli, gli addobbi tutti, sono legati al simbolo di una propiziatoria abbondanza, che nelle antiche religioni contadine era un’offerta sacra, così simbolizzata, per un risveglio dall’inverno non duro, che consentiva alla comunità di avere un buon raccolto. E successivamente di donare ancora.

Per questo natale voglio fare due auguri, ed entrambi, interconnessi, prendono spunto da questa fantasia. Il primo augurio che faccio a tutti voi bradipolettori è quello di tornare ad apprezzare la vostra solitudine. È quello di riuscire a non rimanere angosciati dai labirinti della psiche e di non percepire la solitudine come una reclusione o un isolamento. È di riuscire a vedere la vostra anima come un «bell’inganno», nel quale già il tempo è una «bella compagnia», per citare anime salve di De André. Spero che riusciate a vedere le sensazioni profonde non come una complicazione, o peggio una vergogna, un difetto… ma come un microcosmo intricato, ma incantato, pieno di nascondigli che creano varchi, tra un ramo, un ninnolo, un riflesso. Vi auguro di riuscire in ciò a ritrovare un po’ della spigliatezza genuina del bambino in ciascuno di noi, che di fronte a tutto ciò è divertito, è giocondo, è fantasticante. E sa bene che quel microcosmo è il riflesso dell’intero cosmo.

L’altro augurio che faccio è di fare dono di questi giochi, di questa profondità, di «questa lieta gaiezza» (che si potrebbe tradurre, etimologicamente, «questa fertile terra»). Ma di fare dei doni non materiali, non i «pacchi» (riciclati spesso per mancanza d’idee). L’augurio che faccio è che voi tutti bradipolettori riusciate a farvi dei doni stando tutti appesi all’albero. Ovvero: riuscendo a sentire nel cuore lo stare insieme agli altri.

Sembrano due auguri contrastanti? Niente di più sbagliato. Il ritrovare una pace gioconda dentro di sé è il primo passo per ritrovare un pace gioconda e fertile nello stare insieme. Troppo spesso questo mondo accelerato, dogmatico, abulico, irrigidito sugli stessi schemi, impedisce a tutto ciò di accadere. Ci costringe a seguire degli standard, a formare i nostri desideri sulla normalizzazione (o meglio sull’omologazione) del desiderio, dell’immaginario, degradando fantasie ed empatie profonde. Un sistema che ci costringe a seguire delle condotte e che ci osserva con pre-giudizio se usciamo fuori dai ristretti margini che delineano queste condotte. Un sistema che ci esclude la possibilità di cambiare senza passare dal consumo, dal denaro, dalla produttività e dalla competizione.

Ma non è solo teoria, non sono solo parole le mie. Il mio duplice augurio è anche un invito. E ha un nome: laboratorio urbano di Mente Locale. Questo laboratorio è un gruppo di persone che scommette sulla forza di accoglienza del gruppo per superare le difficoltà e le asperità della vita dei singoli. È un gruppo, come proprio questa settimana mi è capitato di definirlo, « ad alta temperatura emotiva». È una scommessa che non sempre vinciamo, ma continuiamo a giocarcela. È un modo per ritornare ad apprezzare la labirintica profondità della psiche, cercando di non rimanere prigionieri dell’angoscia e degli schemi del sistema vincolante. È un modo per riuscire a fare concretamente entrambe le cose che vi auguro di poter fare, di poter riscoprire. Se siete interessati, se volete scommettere un po’ del vostro tempo, della vostra identità, potete consultare il sito di Mente Locale dove troverete anche l’indirizzo e-mail a cui rivolgervi per sapere dove, come e quando il laboratorio urbano si ritrova e cosa propone ai suoi partecipanti. Un felice natale a tutti voi!

http://bradipodiario.blog.tiscali.it/2014/12/25/12160/

Enea Solinas

lunedì 8 dicembre 2014

Il sacrificio




Laboratorio di radiofonia sociale
promosso da 
Circolo poetico urbano Orfeo e Radio banda larga
Invito a partecipazione libera
un mentelocale itinerante ed espanso in etere
indagine psicopoetica in radiofonia della frontiera tra normalità e follia
primo modulo, fatto di quattro assemblee tematiche, aperte a tutti,
registrate, montate e diffuse nelle frequenze radio e web; 
4 temi, 4 luoghi, 4 gruppi, 

Il terzo incontro sarà
Torino mad pride,  tema Orgoglio e pregiudizio
Giovedi 18 dicembre, h 17.00-20.00
nei Bagni di via luserna di rorà 8

Il quarto incontro
promosso da Il Tiglio, tema: Persone, maschere e identità lavorativa
lunedi, 22 dicembre, h 10.30 -13.00
presso Officina corso Casale 413

Editiamo un po di materiale prodotto in occasione del secondo incontro,
 in san pietro in vincoli promosso da Laburb Mentelocale, tema Il sacrificio


Cos’è il sacrificio
Il sacrifico è rinunciare a riconoscere me stesso, 
rinunciare a riconoscere la mia identità attraverso il talento 
che mi ha donato o non donato la vita.
Questo sacrificio oggi mi accompagna verso la vittoria, 
che non è sopraffare, superare un altro avversario, 
ma compattarsi in una nuova identità, 
molto più vicina al mio essere,
che al sistema territoriale umanoide.

Il sacrificio è riuscire a dire "non ho vinto", 
perché il talento che mi ha garantito il successo nel sistema territoriale, 
non l'ho guadagnato io, l'ho ricevuto dalla vita,
 che un giorno verrà a riprenderselo, ed io cosa le dirò? 
Che i miei cento anni di esistenza non valgono 1 secondo di vita?
Il sacrificio è riuscire a dire "non ho perso",
perché gli uomini sono tutti uguali e non si distinguono per il loro talento, 
o per ciò che riescono a fare o non fare nel sistema territoriale.

Il sacrificio è sottomettersi alla vita, 
appartenere alla vita, 
se potessi appartenere a me stesso,
 potrei decidere di non morire mai.
Il sacrificio è rinunciare a vincere ad ogni costo, 
perché anche se non posso decidere di non morire,
posso sempre decidere quando morire.

Il sacrificio è lasciare andare la mia sofferenza.
Il sacrificio è osservare che il diluvio universale è stato una catastrofe, 
per il sistema territoriale umanoide e le sue identità psicotiche, 
ma non per la vita, ed io appartengo alla vita,
 le mie glorie le mie vittorie sono nella vita, 
non nel sistema territoriale umanoide,
 che presuppone capacità, talento e catastrofi.

Ecco come al solito!
Ma perché quando mi impegno a trovare delle risposte,
trovo sempre con un sacco di domande?
Al prossimo gruppo.
Francesco D.



Inviato: 03/12/2014 20:40
Oggetto: l'universo

L'Universo è in equilibrio
Ciononostante esistiamo
Dio è buono
Ciononostante esistiamo
Le catastrofi ci ricordano chi siamo
S.S.



  sul sacrifico…
sintesi liberamente rielaborata,
da
L’ardore, di Roberto Calasso, Adelphi 2010

Facciamo un salto indietro: di circa 4000 anni…
Esseri remoti… a noi moderni, e pure alle civiltà loro coeve,
 i Veda (Arya),
adoratori di una misteriosa pianta allucinogena,
che descrivono come già estinta nella loro epoca
– il soma –
elaborarono una metafisica del sacrificio,
che riverbera tutt’ora, nel profondo.

Non lasciarono templi, non monumenti, non città, solo testi:
i 4 Veda appunto, i testi del “Sapere”,
cui l’India fece seguire i Brahmana,
con le upanisad, e infine il Mahabarata,
forse il più grande poema epico del Mondo, considerato “il quinto Veda”.

Il sacrificio è mosso da un primo evento scardinante: il desiderio.

Il sacrificio implica un’offerta.
Affinché sussista un sacrificio, occorrono tre condizioni:
un’uccisione colla quale si offre,
una controparte invisibile alla quale si offre,
 un rito attraverso il quale si offre.
Non si ha sacrificio senza queste tre, insieme.

Il sacrificio è commettere una colpa,
unitamente al tentativo di espiarla.
Di fronte al nulla da offrire,
 l’uomo – essere della non-verità – può offrire la verità nella fiducia
 – intesa soprattutto come fiducia nel rito – verità che va conquistata –
ovvero: l’assunto centrale di tutto il pensiero vedico:
che la Mente e il mondo palpabile,
che tra invisibile ed visibile ci sia un interscambio continuo.
Perché il rito sia efficace non potranno che essere compresenti,
in un alternarsi incessante,
i livelli di silenzio (o mormorio continuo) e parola chiara e distinta,
 Mente e Parola.
«indefinita è la mente, indefinito è ciò che accade nel silenzio».

«Solo in quanto gli uomini possono offrire ebbrezza agli déi
possono pretendere di attirarli sulla terra».



L’elemento residuale del rito
 – il sito su cui avviene, qualsiasi residuo –
è il sovrappiù che richiederà ulteriore sacrificio.
Il mondo stesso è il sito residuale del sacrificio
 che gli déi compirono per poter ascendere al cielo.
Nel mondo moderno vige la convinzione
 – evidenziata da un certo abuso del termine sacrificio,
 riferito agli obblighi sociali, famigliari, collettivi, ideali –
che denota la Società come il tutto.
Nel profondo del pensiero vedico
 – quasi fosse un pensiero quantistico rispetto alla fisica cartesiana della modernità –
vige la convinzione che qualcosa di più grande ed invisibile sovraintenda alla società
– qualcosa di cui la natura è una parte, ma non tutto –
qualcosa di invisibile e divino
– e mediante l’interscambio rituale con essa il tutto sussiste compreso il pensiero.
Senza cogliere questo aspetto i remoti riti arcaici ma pure tutti i gesti e i riti o cerimonie sociali,
che da ciò si vogliono sottrarre, apparirebbero come delirio.
La visione moderna non può contemplare questo aspetto,
ma il profondo pensiero può invece contemplare la visione della società.
Sacrificio è un accogliere la morte in ogni atto
– per superare il danno della «morte ripetuta»
che lacera la fibra umana.



Il sacrificio richiede tempo.
Il sacrificio è il tempo.
Ogni forma, ogni gesto umano su cui
ogni cultura in ogni tempo si è interrogata
è intessuto di sacrificio
(inghiottire,
copulare,
recidere,
uccidere,
evacuare,
parlare,
bruciare,
versare,
pensare,
sognare,
guardare,
piangere,
ridere e
prima di tutto respirare,
ancorché attaccati ad una macchina artificiale,
sono il sacrificio).
Arrivare a percepire ciò è un primo passo
per allargare lo sguardo più in là del mondo,
della società,
dell’Io.
Cominciare a percepire ciò è un primo atto di fiducia,
è un primo atto di pensiero e interscambio,
è un primo gesto di cura.
È un primo ritorno al «sacrum facere»
- al fare il sacro –
significato etimologico di Sacrificio.

di Enea Solinas