Laboratorio urbano - Mente locale

Il Laboratorio urbano - Mente locale è una iniziativa di auto mutuo aiuto che nasce tra i servizi della salute psichica e mentale del ASLTO1 di Torino. Inizia le sue attività il Giugno del 2000 e ci si incontra una volta alla settimana il Martedì mattino dalle 11.00 alle 13.00 circa, a Cascina Roccafranca, via Rubino 45, Mirafiori nord, Torino. Chi vuole sapere di più può scrivere a :laburb@libero.it




giovedì 24 marzo 2011

Lo stradario


Lo stradario: istruzioni per l’uso del quartiere

Strategie di sopravvivenza ed esperienze dell’abitare
Mente locale è un registro psicogeografico. In esso si trovano, si creano, si utilizzano mappe di ogni tipo. Ma soprattutto ci occupiamo di una cartografia dei confini, dei margini e dei limiti; il nostro fine irrealizzabile è una cartografia dell’irrapresentabile e dell’indicibile. E il mondo interiore di ognuno di noi va cartografato come un tessuto urbano, alla ricerca dei giardini dell’anima (e nell’ambiente urbano i giardini sono delle enclave di pace nella guerra urbana).
Mente locale postula e pratica una continuità tra corpo umano e corpo urbano. Non solo consideriamo obsoleta la distinzione tra mente e corpo ma puntiamo al superamento della separazione più fondamentale tra corpo ed ambiente urbano
Tre anni fa, quando fondammo il Laboratorio urbano Mente locale, cercammo di stendere un manifesto del gruppo, i 24 punti , che ci ispirasse e ci desse le principali linee guida. Due dei 24 punti sono le citazioni di sopra e tutti due mettono in centro da una parte il contesto urbano, la città, il quartiere, le strade e le piazze e dall’altra la soggettività del abitante, il suo mondo interiore,le sue emozioni, sensazioni, e pensieri.
La prima citazione ci dice che il laboratorio non è interessato a un indagine “oggettiva” del contesto urbano ma cerca di produrre una cartografia, una mappa che tenga conto insieme del urbano e del soggetto che lo abita; quindi una psicogeografia dei luoghi.
La seconda citazione presenta il principio, complementare al contenuto della prima, del profondo legame tra corpo/mente e corpo urbano, e in sottinteso ci dice che ogni volta che il soggetto ha perso il suo legame con il contesto abitativo cade in sofferenza ma per istinto di sopravivenza e per vie non del tutto ortodosse cerca di ricostruire tale legame. Lo sappiamo tutti che i mutamenti e le trasformazioni urbane, soprattutto quelle calate dall’alto, senza partecipazione, allentano e decostruiscono il legame tra soggetto e ambiente urbano e soprattutto, sui soggetti più deboli, produce un alienazione profonda, con conseguenze drammatiche di sofferenza ed esclusione. In tale situazione il soggetto, per vie quasi inconsce mette in atto strategie di riapropriazione dei luoghi, in modo tale da salvaguardare un minimo il suo legame con l’ambiente, restringendo i suoi luoghi al minimo; il più delle volte non gli rimane che la sua casa, o la panchina nel cortile dove incontrare qualche vicino o amico.
Con queste premesse il Laboratorio urbano Mente Locale propone Lo stradario, istruzioni per l’uso dello spazio locale attraverso l’apprendimento, l’esperienza e la testimonianza dell’abitante, una testimonianza che “abita” i luoghi ancor prima di poterli definire linguisticamente.
Riconnettere gli individui agli spazi di vita significa collegare le forme e i saperi frammentati come “qui un tempo pascolavano le pecore”, oppure “in questo luogo è cresciuto Francesco”, a dei saperi specifici, e quindi poter ricongiungergli a un progetto di vita collettiva che ricolloca nelle conoscenze quotidiane la ricchezza relazionale dei luoghi senza perdere di vista il fatto che spesso la loro riabilitazione perde di vista gli aspetti “fisici”, corporei, degli individui che vi abitano.
L’abitare non è mai neutro: marca i luoghi con gesti, racconti e manipola oggetti che definiscono una pluralità di significati. Lo stradario è un primo passo per riaprirci alle emozioni che vanno a costituire i luoghi.
La mappa che tentiamo di ricostruire attraverso le testimonianze di persone che abitano nel quartiere Mirafiori non è il territorio, ma qualcosa che ci consente di rappresentare un territorio attraverso la narrazione, gli affetti e le relazioni. Si tratta, quindi, di mettere a punto una serie di strumenti finalizzati alla registrazione – costruzione di una memoria affettivo-geografica dei luoghi tale da consentire una visione storica e una sorta di traccia- percorso nella memoria collettiva degli abitanti.
Lo stradario è anche ri- sensorializzazione del corpo vissuto in uno spazio, quello del quotidiano, che permette di riappropriarsi di uno sguardo “caldo” intorno ai luoghi di vita.
La riabilitazione dei luoghi urbani in genere nasce dimenticando le forme di resistenza che l’esperienza dell’abitare quotidianamente esprime. Lo stradario vuole essere una sedimentazione dei gesti e delle narrazioni con le quali gli abitanti instaurano una loro forma dell’abitare e costruiscono una forma di legame dialettico con il quartiere e il proprio spazio di vita.
Con lo stradario, scritto, informatizzato, video filmato, tentiamo di disegnare un orizzonte di strategie di sopravvivenza dell’abitante. Gli stessi abitanti coniugano citazioni del passato e modi di vita attuali, solo che in genere, senza sollecitazioni narrative, questi rimangono impliciti. Lo stradario come composto di archivi narrativi dei luoghi vissuti potrebbe allora essere veicolo di grande ricchezza, innanzitutto per gli attori che vengono sollecitati alla sua costruzione e poi per coloro che, possano parteciparvi in senso più allargato.
Si mira quindi a mettere a punto un utensile per una percezione dello spazio effettivamente partecipato e non nel senso, in questo caso, della progettazione partecipata, quanto piuttosto intendendo un partecipare che sia consentire un accesso – condivisione a quella vita che viene vissuta quotidianamente nelle pieghe minute della quotidianità.

domenica 20 marzo 2011

il mondo come labirinto





Il mondo come labirinto


Il termine labirinto, nella sua storia secolare, è stato usato come immagine dello spazio sconosciuto, indefinito e informe, come forma della città e degli agglomerati urbani e come modello delle costruzioni architettoniche. L’uso metaforico del termine come immagine e schema interpretativo di innumerevoli situazioni, dove si mette in discussione la capacità dell’uomo di orientarsi, è quello più diffuso ma , storicamente, il termine labirinto, in primis, ha disegnato un edificio dalla pianta complessa; esso si presenta come un tipo, un modello di edificio. Successivamente diventa metafora delle situazioni complesse e in districabili e, ampliando il suo campo semantico, diventa metafora e segno della città. Il labirinto diventa forma della città e supera il suo essere semplice metafora di essa, quando la morfologia della città è diventata oggetto di studio, di analisi e di progettazione . L’apparire del Piano urbanistico geometrico, della griglia, nel V secolo a.C., per opera dell’architetto Ippòdamo di Mileto ed il suo uso al fine della fondazione delle città coloniali greche, introduce la distinzione tra città fondate secondo un piano e città labirintiche, a sviluppo spontaneo. Il labirinto diventa forma urbanistica a partire dal sostrato metaforico del termine e dal suo essere modello architettonico. La concettualizazione delle metafore labirintiche, come quella della ramificazione e della rete ha prodotto una serie di modelli architettonici concettuali, dei tipi, che nella loro applicazione hanno contribuito all’aumento della complessità dello spazio costruito.
Da singolo edificio a metafora e immagine del prodotto complessivo dell’attività edificatoria, ossia della città, il labirinto amplia il suo campo metaforico, finché non include in esso il mondo intero. E’ il mondo nel suo aspetto urbanizzato, disseminato e orientato dalle città, che assume l’immagine del labirinto. La crescita delle città ha prodotto la metropoli, agglomerato urbano di estensione e complessità notevoli, un labirinto di labirinti. La città-metropoli va al di là della sua estensione fisica; essa trascende i suoi limiti fisici e si proietta sul mondo. Questa sua proiezione mondiale, iniziata con la scoperta del Nuovo Mondo, si presenta come rete, tipo labirintico complesso, e copre tutto il mondo. Il mondo come labirinto, da metafora moraleggiante cristiana è diventata realtà, il labirinto è diventato la forma del mondo.
Il labirinto come metafora ed immagine si presenta ogni qual volta l’uomo deve affrontare uno spazio indistricabile e il muoversi in esso assume un aspetto problematico. La situazione che l’uomo deve affrontare attraversando lo spazio labirintico è caratterizzata dalla facilità di perdersi. Ed è quest’ultima che determina la situazione labirintica. Il perdersi è la forma passiva di rapportarsi con l’ambiente circostante, di prendere le sue misure per poter dispiegare successivamente un rapporto attivo con esso, per orientarsi in esso. Ora, questa situazione paradigmatica ha luogo se l’uomo in movimento si è posto un punto d’arrivo, se il movimento è finalizzato verso un punto che va raggiunto. In questa situazione il permanere della situazione del perdersi diventa frustrante e lo spazio labirintico assume un carattere negativo. Esso nega la finalità posta. Se però il movimento non è finalizzato verso un punto esterno e trova la sua giustificazione nel modo di procedere, se la meta diventa di second’ordine e si va alla deriva, l’esperienza del perdersi non ha più una connotazione negativa; anzi esso è indice della dinamicità dello spazio e della ricchezza dell’esperienza. Andare alla deriva vuol dire andare al di là di ogni finalità utilitaristica e strumentale connessa con l’attraversamento dello spazio. Non è lo spazio che si conforma alle finalità del soggetto ma è il soggetto che aderisce alle caratteristiche dello spazio.
Un’altra dimensione del perdersi è caratterizzata dalla distrazione permanente. Il movimento ha una sua direzione e la mantiene, ma il soggetto in movimento non trattiene alcun rapporto col luogo; il suo movimento ha direzione ma non ha senso. Ha un fine, ma, pressoché sempre, è imposto, e anche se si dispiegano molteplici percorsi, tutti portano allo stesso punto. In altre parole, è una riduzione alla passività del soggetto che, nell’apparente libertà di movimento, trova il massimo di alienazione possibile.
La complessità labirintica del mondo si presenta da una parte come un ostacolo alla progressiva razionalizzazione della sua forma, alla sua decomplessificazione e semplificazione. L’esperienza del perdersi in esso non è altro che un incidente temporaneo nel cammino dell’uomo, quest’ultimo finalizzato all’imposizione di un ordine chiaro e coerente. Se consideriamo la città come metafora del mondo, espressione di questo atteggiamento sono i Piani urbanistici moderni che si pongono come scopo la razionalizzazione della forma labirintica della città con il criterio della funzione.
D’altra parte, il movimento caratterizzato dalla distrazione permanente, fa del mondo un fascio di possibilità indistinte, senza differenza tra l’una o l’altra, tanto tutte portano allo stesso punto. Le possibilità guidate portano all’indifferenza della scelta e fanno del labirinto del mondo, un mondo caotico senza senso ma con molte direzioni.
Tra la concezione negativista della complessità del mondo e quella che lo vede come un groviglio sì caotico, ma indifferente, si delinea una visione che accetta la complessità labirintica del mondo come orizzonte fisiologico e non riducibile a un ordine precostituito. La stessa conoscenza del mondo è frammentaria ed è solo a partire dal frammento che si può iniziare un percorso che tende alla totalità ma non potrà mai raggiungerla. Un mondo così siffatto è un mondo in continuo movimento, imprevedibile e pieno di sorprese. Porsi al suo piano vuol dire accettare l’esperienza di perdersi in esso, di perdere gli schemi abituali di percezione e rappresentazione. Il movimento imprevedibile del mondo richiede al soggetto un’analoga modalità di movimento, non in linea diritta, ma declinante, tale da poter avere un punto di vista avvicinabile alla sua complessità, che lo attraversi in tutta la sua stratificazione. Un movimento che esprima una tendenza alla perenne ricerca nelle infinite possibilità del mondo e che faccia di esso il terreno privilegiato della libertà e dell’autonomia.
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