Laboratorio urbano - Mente locale

Il Laboratorio urbano - Mente locale è una iniziativa di auto mutuo aiuto che nasce tra i servizi della salute psichica e mentale del ASLTO1 di Torino. Inizia le sue attività il Giugno del 2000 e ci si incontra una volta alla settimana il Martedì mattino dalle 11.00 alle 13.00 circa, a Cascina Roccafranca, via Rubino 45, Mirafiori nord, Torino. Chi vuole sapere di più può scrivere a :laburb@libero.it




domenica 20 marzo 2011

il mondo come labirinto





Il mondo come labirinto


Il termine labirinto, nella sua storia secolare, è stato usato come immagine dello spazio sconosciuto, indefinito e informe, come forma della città e degli agglomerati urbani e come modello delle costruzioni architettoniche. L’uso metaforico del termine come immagine e schema interpretativo di innumerevoli situazioni, dove si mette in discussione la capacità dell’uomo di orientarsi, è quello più diffuso ma , storicamente, il termine labirinto, in primis, ha disegnato un edificio dalla pianta complessa; esso si presenta come un tipo, un modello di edificio. Successivamente diventa metafora delle situazioni complesse e in districabili e, ampliando il suo campo semantico, diventa metafora e segno della città. Il labirinto diventa forma della città e supera il suo essere semplice metafora di essa, quando la morfologia della città è diventata oggetto di studio, di analisi e di progettazione . L’apparire del Piano urbanistico geometrico, della griglia, nel V secolo a.C., per opera dell’architetto Ippòdamo di Mileto ed il suo uso al fine della fondazione delle città coloniali greche, introduce la distinzione tra città fondate secondo un piano e città labirintiche, a sviluppo spontaneo. Il labirinto diventa forma urbanistica a partire dal sostrato metaforico del termine e dal suo essere modello architettonico. La concettualizazione delle metafore labirintiche, come quella della ramificazione e della rete ha prodotto una serie di modelli architettonici concettuali, dei tipi, che nella loro applicazione hanno contribuito all’aumento della complessità dello spazio costruito.
Da singolo edificio a metafora e immagine del prodotto complessivo dell’attività edificatoria, ossia della città, il labirinto amplia il suo campo metaforico, finché non include in esso il mondo intero. E’ il mondo nel suo aspetto urbanizzato, disseminato e orientato dalle città, che assume l’immagine del labirinto. La crescita delle città ha prodotto la metropoli, agglomerato urbano di estensione e complessità notevoli, un labirinto di labirinti. La città-metropoli va al di là della sua estensione fisica; essa trascende i suoi limiti fisici e si proietta sul mondo. Questa sua proiezione mondiale, iniziata con la scoperta del Nuovo Mondo, si presenta come rete, tipo labirintico complesso, e copre tutto il mondo. Il mondo come labirinto, da metafora moraleggiante cristiana è diventata realtà, il labirinto è diventato la forma del mondo.
Il labirinto come metafora ed immagine si presenta ogni qual volta l’uomo deve affrontare uno spazio indistricabile e il muoversi in esso assume un aspetto problematico. La situazione che l’uomo deve affrontare attraversando lo spazio labirintico è caratterizzata dalla facilità di perdersi. Ed è quest’ultima che determina la situazione labirintica. Il perdersi è la forma passiva di rapportarsi con l’ambiente circostante, di prendere le sue misure per poter dispiegare successivamente un rapporto attivo con esso, per orientarsi in esso. Ora, questa situazione paradigmatica ha luogo se l’uomo in movimento si è posto un punto d’arrivo, se il movimento è finalizzato verso un punto che va raggiunto. In questa situazione il permanere della situazione del perdersi diventa frustrante e lo spazio labirintico assume un carattere negativo. Esso nega la finalità posta. Se però il movimento non è finalizzato verso un punto esterno e trova la sua giustificazione nel modo di procedere, se la meta diventa di second’ordine e si va alla deriva, l’esperienza del perdersi non ha più una connotazione negativa; anzi esso è indice della dinamicità dello spazio e della ricchezza dell’esperienza. Andare alla deriva vuol dire andare al di là di ogni finalità utilitaristica e strumentale connessa con l’attraversamento dello spazio. Non è lo spazio che si conforma alle finalità del soggetto ma è il soggetto che aderisce alle caratteristiche dello spazio.
Un’altra dimensione del perdersi è caratterizzata dalla distrazione permanente. Il movimento ha una sua direzione e la mantiene, ma il soggetto in movimento non trattiene alcun rapporto col luogo; il suo movimento ha direzione ma non ha senso. Ha un fine, ma, pressoché sempre, è imposto, e anche se si dispiegano molteplici percorsi, tutti portano allo stesso punto. In altre parole, è una riduzione alla passività del soggetto che, nell’apparente libertà di movimento, trova il massimo di alienazione possibile.
La complessità labirintica del mondo si presenta da una parte come un ostacolo alla progressiva razionalizzazione della sua forma, alla sua decomplessificazione e semplificazione. L’esperienza del perdersi in esso non è altro che un incidente temporaneo nel cammino dell’uomo, quest’ultimo finalizzato all’imposizione di un ordine chiaro e coerente. Se consideriamo la città come metafora del mondo, espressione di questo atteggiamento sono i Piani urbanistici moderni che si pongono come scopo la razionalizzazione della forma labirintica della città con il criterio della funzione.
D’altra parte, il movimento caratterizzato dalla distrazione permanente, fa del mondo un fascio di possibilità indistinte, senza differenza tra l’una o l’altra, tanto tutte portano allo stesso punto. Le possibilità guidate portano all’indifferenza della scelta e fanno del labirinto del mondo, un mondo caotico senza senso ma con molte direzioni.
Tra la concezione negativista della complessità del mondo e quella che lo vede come un groviglio sì caotico, ma indifferente, si delinea una visione che accetta la complessità labirintica del mondo come orizzonte fisiologico e non riducibile a un ordine precostituito. La stessa conoscenza del mondo è frammentaria ed è solo a partire dal frammento che si può iniziare un percorso che tende alla totalità ma non potrà mai raggiungerla. Un mondo così siffatto è un mondo in continuo movimento, imprevedibile e pieno di sorprese. Porsi al suo piano vuol dire accettare l’esperienza di perdersi in esso, di perdere gli schemi abituali di percezione e rappresentazione. Il movimento imprevedibile del mondo richiede al soggetto un’analoga modalità di movimento, non in linea diritta, ma declinante, tale da poter avere un punto di vista avvicinabile alla sua complessità, che lo attraversi in tutta la sua stratificazione. Un movimento che esprima una tendenza alla perenne ricerca nelle infinite possibilità del mondo e che faccia di esso il terreno privilegiato della libertà e dell’autonomia.
info:laburb@libero.it

Nessun commento:

Posta un commento