Laboratorio di radiofonia sociale
promosso da
Circolo poetico urbano Orfeo e Radio banda larga
Invito a partecipazione libera
un mentelocale itinerante ed espanso in etere
indagine psicopoetica in radiofonia della frontiera tra normalità e follia
primo modulo, fatto di quattro assemblee tematiche, aperte a tutti,
registrate, montate e diffuse nelle frequenze radio e web;
4 temi, 4 luoghi, 4 gruppi,
Il terzo incontro sarà
Torino mad pride, tema Orgoglio e pregiudizio
Giovedi 18 dicembre, h 17.00-20.00
nei Bagni di via luserna di rorà 8
Il quarto incontro
promosso da Il Tiglio, tema: Persone, maschere e identità lavorativa
lunedi, 22 dicembre, h 10.30 -13.00
presso Officina corso Casale 413
Editiamo un po di materiale prodotto in occasione del secondo incontro,
in san pietro in vincoli promosso da Laburb Mentelocale, tema Il sacrificio
Cos’è il sacrificio
Il sacrifico è rinunciare a riconoscere me stesso,
rinunciare a riconoscere la mia identità attraverso il talento
che mi ha donato o non donato la vita.
Questo sacrificio oggi mi accompagna verso la vittoria,
che non è sopraffare, superare un altro avversario,
ma compattarsi in una nuova identità,
molto più vicina al mio essere,
che al sistema territoriale umanoide.
Il sacrificio è riuscire a dire "non ho vinto",
perché il talento che mi ha garantito il successo nel sistema territoriale,
non l'ho guadagnato io, l'ho ricevuto dalla vita,
che un giorno verrà a riprenderselo, ed io cosa le dirò?
Che i miei cento anni di esistenza non valgono 1 secondo di vita?
Il sacrificio è riuscire a dire "non ho perso",
perché gli uomini sono tutti uguali e non si distinguono per il loro talento,
o per ciò che riescono a fare o non fare nel sistema territoriale.
Il sacrificio è sottomettersi alla vita,
appartenere alla vita,
se potessi appartenere a me stesso,
potrei decidere di non morire mai.
Il sacrificio è rinunciare a vincere ad ogni costo,
perché anche se non posso decidere di non morire,
posso sempre decidere quando morire.
Il sacrificio è lasciare andare la mia sofferenza.
Il sacrificio è osservare che il diluvio universale è stato una catastrofe,
per il sistema territoriale umanoide e le sue identità psicotiche,
ma non per la vita, ed io appartengo alla vita,
le mie glorie le mie vittorie sono nella vita,
non nel sistema territoriale umanoide,
che presuppone capacità, talento e catastrofi.
Ecco come al solito!
Ma perché quando mi impegno a trovare delle risposte,
trovo sempre con un sacco di domande?
Al prossimo gruppo.
Francesco D.
Inviato: 03/12/2014 20:40
Oggetto: l'universo
L'Universo è in equilibrio
Ciononostante esistiamo
Dio è buono
Ciononostante esistiamo
Le catastrofi ci ricordano chi siamo
S.S.
sul sacrifico…
sintesi liberamente rielaborata,
da
L’ardore, di Roberto Calasso, Adelphi 2010
Facciamo un salto indietro: di circa 4000 anni…
Esseri remoti… a noi moderni, e pure alle civiltà loro coeve,
i Veda (Arya),
adoratori di una misteriosa pianta allucinogena,
che descrivono come già estinta nella loro epoca
– il soma –
elaborarono una metafisica del sacrificio,
che riverbera tutt’ora, nel profondo.
Non lasciarono templi, non monumenti, non città, solo testi:
i 4 Veda appunto, i testi del “Sapere”,
cui l’India fece seguire i Brahmana,
con le upanisad, e infine il Mahabarata,
forse il più grande poema epico del Mondo, considerato “il quinto Veda”.
Il sacrificio è mosso da un primo evento scardinante: il desiderio.
Il sacrificio implica un’offerta.
Affinché sussista un sacrificio, occorrono tre condizioni:
un’uccisione colla quale si offre,
una controparte invisibile alla quale si offre,
un rito attraverso il quale si offre.
Non si ha sacrificio senza queste tre, insieme.
Il sacrificio è commettere una colpa,
unitamente al tentativo di espiarla.
Di fronte al nulla da offrire,
l’uomo – essere della non-verità – può offrire la verità nella fiducia
– intesa soprattutto come fiducia nel rito – verità che va conquistata –
ovvero: l’assunto centrale di tutto il pensiero vedico:
che la Mente e il mondo palpabile,
che tra invisibile ed visibile ci sia un interscambio continuo.
Perché il rito sia efficace non potranno che essere compresenti,
in un alternarsi incessante,
i livelli di silenzio (o mormorio continuo) e parola chiara e distinta,
Mente e Parola.
«indefinita è la mente, indefinito è ciò che accade nel silenzio».
«Solo in quanto gli uomini possono offrire ebbrezza agli déi
possono pretendere di attirarli sulla terra».
L’elemento residuale del rito
– il sito su cui avviene, qualsiasi residuo –
è il sovrappiù che richiederà ulteriore sacrificio.
Il mondo stesso è il sito residuale del sacrificio
che gli déi compirono per poter ascendere al cielo.
Nel mondo moderno vige la convinzione
– evidenziata da un certo abuso del termine sacrificio,
riferito agli obblighi sociali, famigliari, collettivi, ideali –
che denota la Società come il tutto.
Nel profondo del pensiero vedico
– quasi fosse un pensiero quantistico rispetto alla fisica cartesiana della modernità –
vige la convinzione che qualcosa di più grande ed invisibile sovraintenda alla società
– qualcosa di cui la natura è una parte, ma non tutto –
qualcosa di invisibile e divino
– e mediante l’interscambio rituale con essa il tutto sussiste compreso il pensiero.
Senza cogliere questo aspetto i remoti riti arcaici ma pure tutti i gesti e i riti o cerimonie sociali,
che da ciò si vogliono sottrarre, apparirebbero come delirio.
La visione moderna non può contemplare questo aspetto,
ma il profondo pensiero può invece contemplare la visione della società.
Sacrificio è un accogliere la morte in ogni atto
– per superare il danno della «morte ripetuta»
che lacera la fibra umana.
Il sacrificio richiede tempo.
Il sacrificio è il tempo.
Ogni forma, ogni gesto umano su cui
ogni cultura in ogni tempo si è interrogata
è intessuto di sacrificio
(inghiottire,
copulare,
recidere,
uccidere,
evacuare,
parlare,
bruciare,
versare,
pensare,
sognare,
guardare,
piangere,
ridere e
prima di tutto respirare,
ancorché attaccati ad una macchina artificiale,
sono il sacrificio).
Arrivare a percepire ciò è un primo passo
per allargare lo sguardo più in là del mondo,
della società,
dell’Io.
Cominciare a percepire ciò è un primo atto di fiducia,
è un primo atto di pensiero e interscambio,
è un primo gesto di cura.
È un primo ritorno al «sacrum facere»
- al fare il sacro –
significato etimologico di Sacrificio.
di Enea Solinas
sintesi liberamente rielaborata,
da
L’ardore, di Roberto Calasso, Adelphi 2010
Facciamo un salto indietro: di circa 4000 anni…
Esseri remoti… a noi moderni, e pure alle civiltà loro coeve,
i Veda (Arya),
adoratori di una misteriosa pianta allucinogena,
che descrivono come già estinta nella loro epoca
– il soma –
elaborarono una metafisica del sacrificio,
che riverbera tutt’ora, nel profondo.
Non lasciarono templi, non monumenti, non città, solo testi:
i 4 Veda appunto, i testi del “Sapere”,
cui l’India fece seguire i Brahmana,
con le upanisad, e infine il Mahabarata,
forse il più grande poema epico del Mondo, considerato “il quinto Veda”.
Il sacrificio è mosso da un primo evento scardinante: il desiderio.
Il sacrificio implica un’offerta.
Affinché sussista un sacrificio, occorrono tre condizioni:
un’uccisione colla quale si offre,
una controparte invisibile alla quale si offre,
un rito attraverso il quale si offre.
Non si ha sacrificio senza queste tre, insieme.
Il sacrificio è commettere una colpa,
unitamente al tentativo di espiarla.
Di fronte al nulla da offrire,
l’uomo – essere della non-verità – può offrire la verità nella fiducia
– intesa soprattutto come fiducia nel rito – verità che va conquistata –
ovvero: l’assunto centrale di tutto il pensiero vedico:
che la Mente e il mondo palpabile,
che tra invisibile ed visibile ci sia un interscambio continuo.
Perché il rito sia efficace non potranno che essere compresenti,
in un alternarsi incessante,
i livelli di silenzio (o mormorio continuo) e parola chiara e distinta,
Mente e Parola.
«indefinita è la mente, indefinito è ciò che accade nel silenzio».
«Solo in quanto gli uomini possono offrire ebbrezza agli déi
possono pretendere di attirarli sulla terra».
L’elemento residuale del rito
– il sito su cui avviene, qualsiasi residuo –
è il sovrappiù che richiederà ulteriore sacrificio.
Il mondo stesso è il sito residuale del sacrificio
che gli déi compirono per poter ascendere al cielo.
Nel mondo moderno vige la convinzione
– evidenziata da un certo abuso del termine sacrificio,
riferito agli obblighi sociali, famigliari, collettivi, ideali –
che denota la Società come il tutto.
Nel profondo del pensiero vedico
– quasi fosse un pensiero quantistico rispetto alla fisica cartesiana della modernità –
vige la convinzione che qualcosa di più grande ed invisibile sovraintenda alla società
– qualcosa di cui la natura è una parte, ma non tutto –
qualcosa di invisibile e divino
– e mediante l’interscambio rituale con essa il tutto sussiste compreso il pensiero.
Senza cogliere questo aspetto i remoti riti arcaici ma pure tutti i gesti e i riti o cerimonie sociali,
che da ciò si vogliono sottrarre, apparirebbero come delirio.
La visione moderna non può contemplare questo aspetto,
ma il profondo pensiero può invece contemplare la visione della società.
Sacrificio è un accogliere la morte in ogni atto
– per superare il danno della «morte ripetuta»
che lacera la fibra umana.
Il sacrificio richiede tempo.
Il sacrificio è il tempo.
Ogni forma, ogni gesto umano su cui
ogni cultura in ogni tempo si è interrogata
è intessuto di sacrificio
(inghiottire,
copulare,
recidere,
uccidere,
evacuare,
parlare,
bruciare,
versare,
pensare,
sognare,
guardare,
piangere,
ridere e
prima di tutto respirare,
ancorché attaccati ad una macchina artificiale,
sono il sacrificio).
Arrivare a percepire ciò è un primo passo
per allargare lo sguardo più in là del mondo,
della società,
dell’Io.
Cominciare a percepire ciò è un primo atto di fiducia,
è un primo atto di pensiero e interscambio,
è un primo gesto di cura.
È un primo ritorno al «sacrum facere»
- al fare il sacro –
significato etimologico di Sacrificio.
di Enea Solinas
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