Laboratorio urbano - Mente locale

Il Laboratorio urbano - Mente locale è una iniziativa di auto mutuo aiuto che nasce tra i servizi della salute psichica e mentale del ASLTO1 di Torino. Inizia le sue attività il Giugno del 2000 e ci si incontra una volta alla settimana il Martedì mattino dalle 11.00 alle 13.00 circa, a Cascina Roccafranca, via Rubino 45, Mirafiori nord, Torino. Chi vuole sapere di più può scrivere a :laburb@libero.it




mercoledì 28 agosto 2013

La cura è politica




                                       Coordinamento Nazionale Utenti della Salute Mentale

                                                              LA CURA E’POLITICA
                                                                                di
                                                                        Luca Atzori

I disturbi che coinvolgono la psiche o la sfera emotiva, vengono inclusi, comunemente, all’interno della categoria di “Malattia mentale”. Intorno agli anni settanta parole come “pazzo” “matto” “insensato” “invasato” etc lasciavano il posto alla parola “malato”. Così, ogni qual volta si fosse incontrata una persona bizzarra che presentasse sintomi di squilibrio o delirio, si sarebbe commentato (sottovoce) “devi capirlo poverino, non sta bene”.

All’interno della psichiatria la Bibbia si chiama “Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali”, il quale fornisce una classificazione di tutte le “malattie mentali” conosciute. La nosologia garantisce certamente maggiori semplificazioni nel processo di terapia, così viene seguita indiscriminatamente nonché, spesso, esclusivamente. Questo comporta spesso che il paziente porti con sé la propria condizione di malato quotidianamente, fino a dipendere completamente dalla medicina che diventa una protesi esistenziale piuttosto che uno strumento.

Ma ora vorrei porre l’attenzione anche verso un’altra tendenza che vede la propria origine in quella zona deputata ad assumere ruolo antagonista nei confronti della psichiatria, ovvero quella che sostiene che la malattia mentale non esista.

Spesso chi sostiene questo lo fa con una tale emotività e rabbia, che la stessa posizione rischia di essere solo una debole provocazione, destinata a esaurirsi in sé stessa. Già, perché per quanto “la malattia mentale non esista” quando una persona si trova in una fase acuta di delirio o in una crisi depressiva, non se la passa poi tanto bene.

Ora, mi sembra di intravedere, in queste due posizioni, un minimo comun denominatore, manifestantesi in un carente approfondimento del significato del termine “malattia”.

La malattia è il contrario della salute. E’ quella condizione in cui si presenti un ostacolo al normale svolgimento delle funzioni vitali dell’organismo. Malattia è una parola che indica una necessità: quella di prendersi cura di sé stessi.

Chi soffrirà di gastrite chiederà aiuto al gastroenterologo per farsi aiutare a superare il problema, così come chi soffrirà di spasticità chiederà aiuto al logopedista, chi di tumore all’oncologo e chi soffrirà di schizofrenia allo psichiatra. Si presenta un problema, così si cerca di risolverlo con l’aiuto di un professionista deputato alla cura della persona.

Spesso però capita che il medico riesca a prescrivere solo trattamenti farmacologici i quali si rivelano insufficienti oltre che (nel caso della psichiatria) coattivi, se non addirittura dannosi.

Così vediamo un rammollimento del bisogno di cura, destinato spesso a spegnersi verso la resa. La terapia diventa così una routine. Si diventa “cronici”, ovvero malati per sempre. La medicina diventa una cura della malattia e non più della persona. Si cura il male come lo si farebbe con una bambola da pettinare (proverbialmente).

Chi invece, sostiene che la malattia mentale non esista, è convinto del fatto che essa sia solo una forma di controllo e che il disagio sia segno della forte sensibilità di chi patisce il mondo fuori che è invece il vero malato.

Ora, nella prima posizione, vedo una proiezione del male verso l’individuo mentre nella seconda una proiezione verso l’esterno, il mondo.

Ma proviamo a pensare alla malattia mentale (e non solo) come ad una metafora. Se invece di dire “sono malato” si dicesse “mi sento come le persone malate”? E se questa metafora la raccontassimo a chi non si rende conto di trovarsi in una situazione simile?

In tal caso parleremmo della malattia come di quella Necessità che l’organismo sente di prendersi cura di sé. Vedendola in quest’ottica, dovremmo fare coincidere la malattia con la terapia, la quale avrà inizio al momento dell’ “impazzimento” e non in quello della prima consulenza psichiatrica. In entrambe le posizioni di cui sopra troviamo invece (seppure in diversa forma) poca attenzione verso questo segnale. Nel primo caso si tende a tappare il problema (per questioni di fretta, approssimazione o carente interesse) nel secondo si tende o a esaltarlo romanticamente (approdando però solo allo stereotipo) o anche a utilizzarlo come segnale per munirsi di una vittima sacrificale da mostrare al mondo e via dicendo.

In che modo possiamo ritenere la “malattia mentale” una risorsa? In assenza della proiezione operata dalle altre due scuole. Nel disagio vediamo manifestarsi un problema che non sta solo fuori e non sta solo dentro. Piuttosto dovremmo pensare che all’interno della persona “disturbata” vediamo manifestarsi sia il mondo fuori che il mondo dentro. Curare sé stessi significa quindi curare anche il mondo intorno.

In tal caso curarsi diventa un atto politico. Se, ad esempio, la psicosi, è una forma di rifiuto delle strutture imposte, una sorta di ribellione, lo sforzo richiesto a chi vive questa condizione è quella di inventare nuove strutture che siano comunicabili, creare un mondo che risponda ai propri bisogni. Per far questo è necessario che i propri bisogni vengano scoperti e ciò è possibile solo attraverso un ascolto. In tal caso possiamo dirlo con certezza: curarsi è un lavoro e ha un’importanza elevatissima.

Il paziente deve essere dunque anche un medico, capace di curare il mondo attraverso sé stesso. Solo che questo spazio di lavoro non gli viene concesso. Molti così si arrendono a definirsi con la propria diagnosi. Per molti diventa un alibi. Altri rifiutano invece di ascoltare il segnale e molto spesso vanno ad approdare in casi simili a quelli precedentemente citati. E’ un circolo vizioso che fa parte di un mondo che non ha nessun interesse di mutare sé stesso nella sostanza. E’ il frutto di un mondo in cui qualsiasi aspetto umano diventa sempre meno “monetizzabile”, sempre meno utile. Il frutto di un mondo privo di cura.